• Il pane che mangiamo

    Dal celebre padre non ereditò soltanto le idee ma, soprattutto, l’amore per la poesia. Renzo Ferrari (1915-1990) – figlio di Renzo Novatore (caduto sotto il regio piombo fascista dopo aver incendiato chiese e cuori, svaligiato casseforti e sogni, assaltato arsenali e desideri), nonché collaboratore di vari periodici anarchici internazionali – è stato anche autore di alcune raccolte poetiche: "I canti della meditazione e del dolore" (1949), "Del tutto e del nulla" (1952), "Ombre crepuscolari" (1974), "Il pane che mangiamo" (1989). Qui di seguito alcuni dei suoi versi.

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  • Il Tempo e la Macchina

    Il tempo, così come lo conosciamo, è un'invenzione assai recente. La moderna concezione del tempo è poco più antica degli Stati Uniti. È un sottoprodotto dell'industrialismo, una sorta di equivalente psiIl tempo, così come lo conosciamo, è un'invenzione assai recente. La moderna concezione del tempo è poco più antica degli Stati Uniti. È un sottoprodotto dell'industrialismo, una sorta di equivalente psicologico dei profumi sintetici e dei coloranti all'anilina. Il tempo è nostro tiranno. Siamo profondamente coscienti del movimento della lancetta dei minuti, persino di quella dei secondi. Dobbiamo esserlo. Ci sono treni da prendere, cartellini da timbrare, compiti da svolgere entro scadenze precise, record da battere in frazioni di secondo, dispositivi che stabiliscono il ritmo…

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  • Il criterio del numero

    Ecco un principio formulato senza limitazioni: la società non può essere folle quando schiaccia l'individuo; folle è soltanto l'individuo che protesta contro la società che lo soffoca. La società americana da cui è uscita la bomba di Hiroshima e la società tedesca che costruì i campi di sterminio di Dachau e Buchenwald, non erano affatto, e non sono, società folli, dal momento che non hanno mai cessato «di essere società». Non solo non erano folli, ma in virtù del criterio del numero, che non è casuale, esse erano regola e giustizia.

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  • Il secolo in faccia

    Terra muta e sterile. È della nostra che parlo. L'udito misura attraverso i continenti il pauroso silenzio dell'essere umano, sovrastato dal suo fragoroso funzionamento. Si sente solo lo stridio dell'acciaio, il fruscio del denaro, il cigolio delle poltrone. Inutile restare immobili in ascolto. Niente desideri. Niente sogni. Nessuna poesia, quella vera, balzo dell'essere umano al di là del mondo circostante.

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