Bolscevismo… e questione nazionale

Nestor Makhno

In tutti i paesi, e particolarmente negli Stati che formano l’Unione delle repubbliche sovietiche, si alza un clamore senza senso: «Lenin è la guida dei lavoratori di tutti i paesi, egli ha edificato una teoria da essi utilizzabile ed ha mostrato quale sia il vero cammino della liberazione vittoriosa, eccetera».
Ovvero, in quello stesso paese dove i boia bianchi e rossi, nell’interesse dei loro partiti, hanno decapitato l’incomparabilmente grande rivoluzione russa liberatrice e attualmente dirottano le masse laboriose dalla loro vera meta; proprio là si è perduta la fiducia in se stessi, nella forza creatrice dell’azione spontanea per l’organizzazione della nuova società. E questo evento si è prodotto in un paese in cui è scoppiata una grande rivoluzione e dove essa è finita prematuramente (ben prima d’aver conseguito il suo pieno sviluppo) nonostante l’entusiasmo di cui – Lenin ed i bolscevichi esclusi – le masse lavoratrici erano animate.
Alle sopracitate sciocchezze – che non sono affatto celie, ahimè, ma piuttosto il marchio di una criminale irresponsabilità – fanno eco le grida dei partigiani di Lenin nei paesi esteri. Come conseguenza, queste affermazioni sono accettate come vere anche da coloro che partigiani di Lenin non sono, uomini-schiavi la cui intelligenza, forza e volontà sono in mano al capitale abietto e maniaco. Molti dunque, s’ingannano e ingannano gli altri, si sgolano a gridare: «Lenin è la guida del Proletariato di tutti i paesi, egli ci ha donato la teoria della liberazione, egli ci ha mostrato la via della vera liberazione».
È inconcepibile che il borghese Lenin sia la guida del proletariato mondiale. Questa pretesa appare ingiustificabile, senza fondamento, a noi contadini rivoluzionari che abbiamo superato tutte le tappe della rivoluzione russa ed abbiamo esperienza del «leninismo». Collocare Lenin su un piedistallo in questa veste è una derisione che prova unicamente la debolezza di spirito di coloro che si sforzano di attribuire a quest’uomo la direzione del proletariato, benché in realtà durante la grande rivoluzione russa egli non si trovasse nemmeno nel paese. […]
Il partito socialdemocratico bolscevico, erroneamente chiamato comunista, ed il cui sostegno spirituale era il borghese Lenin (Ulianov Lenin), colui che fino alla morte ha saturato la grande rivoluzione russa con la sua ignoranza scientifica e la sua vuota teoria; questo partito agisce allo stesso modo della Borghesia verso i lavoratori, vuole unicamente e semplicemente degli schiavi fedeli.
Da Marx a Lenin, e dopo la loro scomparsa, questo partito ha sempre voluto essere l’educatore di tutta l’umanità lavoratrice, a carico di quelli che lavorano, non rendendosi conto d’essere un intruso, un gesuita che si sforza di condurre le masse oppresse sotto un preteso vessillo di liberazione, mentre irresponsabilmente le smarrisce con una vittoria apparente sulla schiavitù economica, politica, psichica. In realtà, esso non persegue che una riforma della schiavitù dell’umanità. Ha sufficientemente dimostrato attraverso le sue azioni durante la grande rivoluzione russa di saper essere un eccellente boia; un boia non soltanto di coloro che in periodo di lotta e fra gli uomini rappresentano un elemento malsano e corrotto, ma anche di coloro i cui impulsi sono sani, puri e belli, che si aprono nobilmente un libero sentiero, che lavorano allo sviluppo di tutte le forze creatrici per il bene dell’insieme sociale.
Questo partito si è dimostrato un educatore malvagio, e soprattutto nocivo.
I fenomeni che hanno rimarcato in modo particolare il partito leninista russo possono essere del pari osservati negli altri paesi. Questo semplice fatto a titolo d’esempio: noi vediamo i comunisti marciare in ranghi nelle strade, bastone in mano e randello di caucciù dissimulato.
[…] Cosa può avere in comune il bolscevismo leninista con le speranze ardenti dell’umanità sfruttata e a corto di forze? Il bolscevismo che nella pratica sfocia nel diritto di dominazione dell’uomo sull’uomo e che può essere riconosciuto, da chiunque rifletta, come detestabile e criminale?
Il borghese Lenin con il suo pan-bolscevismo, lui e tutto il suo partito, volendo asservire alla propria volontà con la forza la massa dei lavoratori, è tanto lontano dalle mete elevate di una vera liberazione quanto le istituzioni della Chiesa e dello Stato, quali noi le vediamo.
Attualmente questa confusione di idee appare misteriosa, ma basterebbe rileggere, ad occhi aperti, gli ultimi scritti di Lenin che, secondo l’opinione stessa dei bolscevichi, ne sono il testamento. […]
Lenin dice: «Dobbiamo edificare uno Stato dove gli operai conservino la supremazia su tutta la classe dei contadini». […] «Attraverso ciò sarà assicurata la rapida trasformazione degli affamati cavalli dei contadini in potenti corsieri – noi svilupperemo certamente una grande industria meccanica, elettrificata» ed aggiunge «saremo quindi sicuri di restare al potere».
Non è il caso qui di discutere la questione della trasformazione dei piccoli cavalli in grandi aratri meccanici. Noi crediamo fermamente alla forza creatrice dei lavoratori e siamo convinti che se essi esproprieranno realmente la classe borghese di tutti i mezzi di produzione, del suolo e della proprietà fondiaria, allora sapranno ben riorganizzare la loro vita e tutte le loro relazioni economiche ed individuali. Una tutela dittatoriale sui contadini da parte di operai come Lenin, Kamenev, Zinovev, Trotsky, Dzershinsky, Kalinin e tanti altri, si è dimostrata, nell’applicazione, impotente. Essi non sono riusciti a produrre che partiti, compromessi, deviazioni, arretramento dal bolscevismo al fascismo (il terrorismo politico dei bolscevichi verso le idee rivoluzionarie ed i loro difensori non differisce in nulla dal terrorismo fascista).
[…] Fortunatamente i lavoratori del mondo non hanno detto la loro ultima parola: accetteranno, liberandosi da un’autorità, di mettersi poi sotto il giogo di una nuova costrizione, dispotica, più raffinata, tanto crudele (se non di più) quanto quella che vorrebbero scuotere? I lavoratori del mondo sanno a sufficienza che il loro compito sacro è quello di annientare questa nuova violenza, al pari di tutte le altre.
Vivere fraternamente, liberati da ogni dipendenza e soggezione servile – ecco l’ideale dell’Anarchismo, che la natura sana dell’uomo implica. Il borghese Lenin e il suo partito bolscevico hanno sempre combattuto questo ideale elevato. Con le baionette, lo strangolamento, con le persecuzioni cui hanno sottoposto i portatori di questo ideale, i leninisti si sono adoperati per sporcarlo e snaturarlo agli occhi delle masse. Al suo posto hanno cercato di far trionfare, con la forza delle armi – prima tra gli operai, ed attraverso di loro nell’umanità intera – un ideale di omicidio continuo, di violenza brutale, di sopruso politico.
Dopo questo, definire Lenin «Guida mondiale del Proletariato» non è derisorio? Sì, è uno scherzo sinistro e criminale verso l’umanità sfruttata, ingannata, asservita.

[Svezia, fine maggio 1925]


Dopo l’abolizione del dispotismo zarista durante la rivoluzione del 1917, le prospettive di rapporti nuovi e liberi tra i popoli, fino a quel momento sottoposti al violento giogo dello Stato russo, si profilarono all’orizzonte dei lavoratori. L’idea di una totale autodeterminazione, fino alla separazione completa dallo Stato russo, nacque così naturalmente tra questi popoli. Si espresse in maniera molto netta in Ucraina, senza conoscere fin da subito una formulazione ben definita. Decine di gruppi di tutte le tendenze apparvero tra la popolazione ucraina, ognuno di essi interpretando a modo proprio e in conformità agli interessi del suo partito l’idea di autodeterminazione. Nel complesso, le masse lavoratrici ucraine non simpatizzavano con questi gruppi e non vi aderirono.
Sono passati più di sette anni da allora, l’atteggiamento dei lavoratori ucraini nei confronti dell’idea di autodeterminazione si è approfondito e la loro comprensione è aumentata. Ora simpatizzano con questa idea e lo mostrano spesso nella loro vita, rivendicando ad esempio l’uso della loro lingua e il diritto alla propria cultura, considerate prima della rivoluzione come reiette. Rivendicano anche il diritto di applicare nella loro nuova vita il proprio modo di vivere e le proprie usanze specifiche. Allo scopo di edificare uno Stato ucraino indipendente, certi signori-statalisti vorrebbero recuperare per proprio conto tutte queste manifestazioni naturali della realtà ucraina, contro cui d’altronde i bolscevichi non sono in grado di lottare, nonostante la loro onnipotenza. Tuttavia, questi signori-statalisti non riescono a trascinare al loro seguito le grandi masse dei lavoratori e ancor meno a mobilitarle mediante l’espediente a favore della lotta contro il partito bolscevico oppressore. Il sano istinto dei lavoratori ucraini e la penosa condizione sotto il giogo bolscevico non impediscono loro di dimenticare il pericolo statale in generale. È per questo motivo che si tengono alla larga da questa tendenza sciovinista e non la mescolano con le loro aspirazioni sociali, cercando la propria via verso l’emancipazione.
Vi è in ciò qualcosa su cui riflettere seriamente per tutti i rivoluzionari ucraini e per i comunisti libertari in particolare, qualora intendano svolgere un’attività conseguente tra i lavoratori ucraini.
Tuttavia quest’attività non potrà essere svolta come quella degli anni 1918-1920, perché la realtà del paese è molto cambiata. All’epoca la popolazione lavoratrice ucraina, che aveva svolto un ruolo così importante nello schiacciare i mercenari della borghesia – Denikin, Petliura e Wrangel – mai avrebbe potuto immaginare che si sarebbe ritrovata, alla fine della rivoluzione, ignominiosamente ingannata e sfruttata dai bolscevichi.
Era l’epoca in cui tutti lottavano contro la restaurazione dell’ordine zarista. Non c’era tempo quindi per esaminare e verificare tutti coloro che arrivavano per unirsi alla lotta. La fede nella rivoluzione dominava su tutte le possibili considerazioni circa la qualità di quegli «intrusi», sulle domande che sarebbe stato il caso di porsi sul loro conto: bisognava considerarli amici o nemici? In quel periodo i lavoratori marciavano opponendosi alla controrivoluzione, considerando solo quanti si univano a loro in prima fila affrontando senza paura la morte per difendere la rivoluzione.
Da allora, la psicologia dei lavoratori ucraini è cambiata molto; hanno avuto il tempo di familiarizzare a sazietà con questi «intrusi», con la loro causa, e li considerano in modo più critico di quanto hanno conquistato con la rivoluzione, almeno di ciò che ne è rimasto. Attraverso tali «intrusi» riconoscono i loro nemici diretti, anche se questi si ucrainizzano e sventolano la bandiera del socialismo, perché nei fatti li vedono agire nel senso di un maggiore sfruttamento del Lavoro. Prendono chiaramente coscienza che è la casta dei socialisti, rapaci sfruttatori, ad aver confiscato loro tutte le conquiste rivoluzionarie. Alla fin fine, è simile ai loro occhi all’occupazione austro-tedesca camuffata sotto ogni tipo di gioco di prestigio bolscevico.
Questa occupazione mascherata provoca nelle masse una certa corrente nazionalista, diretta contro gli «intrusi». Non per nulla i signori bolscevichi governano l’Ucraina da Mosca, nascondendosi dietro i loro burattini ucraini: è l’odio crescente delle masse ucraine che li esorta a procedere così. Sono le condizioni stesse del dispotismo bolscevico a spingere i lavoratori ucraini a ricercare mezzi che permettano loro di rovesciarlo e orientarsi verso la via di una società nuova veramente libera. I bolscevichi però non dormono e cercano di adattarsi ad ogni costo alla realtà ucraina. Nel 1923 vi si son ritrovati come pecore smarrite; da allora hanno mutato tattica e si sono affrettati ad andare incontro alla realtà ucraina. Di più, si sono adoperati a legare l’esistenza del bolscevismo a quella del nazionalismo e hanno aggiunto a questo proposito, nella «Costituzione dell’U.R.S.S.», articoli specifici che accordino ad ogni popolo membro di questa Unione il diritto di autodeterminarsi completamente, fino alla separazione. Ovviamente tutto ciò è solo ipocrisia. Come cambierà l’atteggiamento bolscevico? Lo vedremo nei prossimi anni. Solo tenendo conto di queste nuove condizioni – l’odio dei lavoratori ucraini verso gli «intrusi» e verso il bolscevismo nazionalista – gli anarchici potranno affrontare la realtà ucraina. Noi riteniamo che il loro principale compito attuale sia quello di spiegare alle masse che tutto il male non proviene da un’autorità «intrusa», ma da qualsiasi autorità in generale. La storia degli ultimi anni fornirà un argomento di peso per la loro tesi, perché l’Ucraina ha visto sfilare ogni sorta di poteri che in fin dei conti si assomigliavano come gocce d’acqua. Dobbiamo dimostrare che potere statale «intruso» e potere statale «indipendente» si equivalgono e i lavoratori non hanno nulla da guadagnare da entrambi; essi devono concentrare tutta la loro attenzione su altro: la distruzione degli organi dell’apparato statale e la loro sostituzione con organismi operai e contadini di autodirezione sociale ed economica.
Tuttavia, nell’affrontare la questione nazionale, non bisogna dimenticare le ultime peculiarità ucraine. Adesso si parla in ucraino e, a causa della nuova tendenza nazionalista, si ascolta male chi viene da fuori e non parla la lingua del paese. È un aspetto etnico di cui bisogna tener conto in sommo grado. Se finora gli anarchici hanno beneficiato di una ben scarsa accoglienza favorevole tra i contadini ucraini, è perché si raggruppavano soprattutto nelle città e, per di più, non parlavano la lingua nazionale della campagna ucraina.
La vita ucraina è ricca di ogni genere di possibilità, in particolare di un movimento rivoluzionario di massa. Gli anarchici hanno grandi possibilità di influire su questo movimento, di diventarne persino ispiratori, alla sola condizione di mettersi in sintonia con la diversità della realtà e di porsi in una posizione di combattimento singolare, diretto e dichiarato, contro le forze ostili agli operai che vi hanno piantato radici.

[Dielo Truda, n. 19, dicembre 1928]