Sorge «l’Uomo Moderno»

Lewis Mumford

Il concetto di Uomo Moderno deve essere preso come un termine storico che illustra un tipo di esistenza, una forma di pensiero e di vita sociale, un ego ed un super-ego che apparvero per la prima volta nel quindicesimo secolo. La parola moderno fu usata per distinguere le credenze contemporanee di questo periodo da quelle degli antichi: più tardi essa divenne un termine di speciale elogio, quando i moderni divennero più orgogliosi dei propri successi e più fiduciosi della propria posizione. Nulla di ciò che l’uomo del ventesimo secolo cantò a lode di se stesso potrebbe sorpassare ciò che Voltaire disse del diciassettesimo secolo. E ai nostri giorni il trionfo dell’Uomo Moderno si è rivelato una profonda ironia: anche lui porta una data — come portano una data gli uomini e le donne «progredite» nelle prime commedie di Bernard Shaw.
La parola «moderno» viene dal latino. Essere moderno significa essere alla moda, cioè scartare il passato come si scarterebbero gli abiti dell’anno scorso, e portare la stessa uniforme dei propri contemporanei. Nel sedicesimo secolo, il termine «new-fangled» (all’ultima moda) era ancor sempre un epiteto di rimprovero: Filippo di Spagna più tardi classifica «gli innovatori» insieme agli insolventi, ai malcontenti e ai fuorilegge. Ma poi la novità di un costume cessò di essere un peggiorativo: fumare la pipa, andare in carrozza di posta, mangiare patate, bere tè, preferire Descartes ad Aristotele o Swift a Giovenale non era più un’audacia. Cambiamento, innovazione, progresso divennero l’ordine del giorno. «Facciamo che ogni domani ci trovi più innanzi dell’oggi» divenne la regola di condotta. Il calendario semplificava tutto il problema dei valori: appartenere al passato significava essere svuotato di ogni valore. Tutto questo era troppo semplice.
In breve, l’Uomo Moderno era uno spaventapasseri ideologico: una creatura formata durante il periodo di espansione, destinata a vivere soltanto finché continuavano ad esistere le condizioni e i bisogni che gli avevano dato origine. Essendo il prodotto di un’età di espansione, egli credette di tutto cuore, fervidamente, nel movimento e nella locomozione: non piccola parte della sua esistenza fu dedicata ad accelerare la velocità della nave a vela, del treno e dell’aeroplano. Le astrazioni del tempo, dell’energia e del denaro sono più reali per lui di qualsiasi altro sistema di astrazioni, e da esse egli deduce un ideale quantitativo di vita: più energia, più velocità, più movimento, più denaro, più tempo. Affollando le sue sensazioni e moltiplicando gli avvenimenti nei suoi giorni, sperava di raggiungere una vita più piena : l’affrettarsi, anziché essere una pratica recente per ottenere maggior produzione in fabbrica, è una concezione universale. L’Uomo Moderno crede nel quadro meccanico del mondo, non come in un inutile strumento di ordine — ciò che esso è — ma come in una rivelazione finale della verità. Tutto ciò che non si adatta entro questo idolum cessa di essere reale. Uniformità obiettiva: caos soggettivo.
L’Uomo moderno si apprestò alla conquista del mondo esterno: aveva fede nelle macchine, e quella fede fu giustificata dalle opere. Egli proiettò il sogno infantile della potenza illimitata nella società adulta e guardò con speranza anticipando un tempo in cui la pressione di un bottone avrebbe portato il cibo con estrema facilità come il pianto di un bambino porta il poppatoio o la mammella. Ma dopo quattro secoli di strenui sforzi i suoi mitici poteri sono ancora un’illusione. Ad onta delle sue macchine egli soffre la fame in mezzo all’abbondanza: a dispetto della sua sapienza sulle stelle lontane ed i mondi intra-atomici, la civiltà che egli ha creato ha dato origine ad una barbarie che si  è sparsa ora attraverso il pianeta. In una serie di guerre mondiali e di rivoluzioni mondiali, l’Uomo Moderno è giunto in effetti ad un penoso suicidio.

[La condizione dell’uomo, 1944]