Il marxismo, piaga e maledizione

Gustav Landauer

Karl Marx ha collegato artificialmente le due componenti del marxismo, la scienza e il partito politico, creando in apparenza qualcosa di completamente nuovo, che il mondo non aveva mai visto prima, vale a dire la politica scientifica e il partito con una base e un programma scientifici. Questo fatto era davvero nuovo e per di più moderno e attuale; inoltre lusingava gli operai sentirsi dire che proprio loro rappresentavano la scienza, anzi, la scienza più all’avanguardia. Se vuoi conquistare le masse, allora lusingale. Se vuoi che siano incapaci di pensare e agire seriamente, se vuoi rendere i loro rappresentanti perfetti esempi di vuota boria, mettendo loro in bocca una retorica che essi stessi nel migliore dei casi capiscono solo a metà, allora convincili che rappresentano un partito scientifico. Se vuoi riempirli totalmente di maligna stupidità, formali nelle scuole di partito. […]
Certamente si può volere ciò che è giusto e utile solo se si sa ciò che si vuole, ma – a parte il fatto che tale conoscenza non ha nulla di scientifico – è contraddittorio rivendicare, sulla base delle cosiddette leggi storiche dello sviluppo che hanno la presunta forza di leggi naturali, la conoscenza esatta di come le cose devono necessariamente e inevitabilmente andare (in modo che né la volontà né l’azione dell’uomo possa minimamente cambiare questa predeterminazione), e al tempo stesso pretendere di organizzarsi in partito politico, che non può fare altro che chiedere, influenzare, agire e cambiare le situazioni particolari. Costruire un ponte tra queste due cose incompatibili è una delle più assurde dimostrazioni di arroganza nella storia dell’uomo. Tutto ciò che i marxisti fanno o pretendono (perché chiedono più di quello che fanno) è esattamente uno stadio necessario dello sviluppo determinato dalla Provvidenza, un’esclusiva manifestazione della legge naturale. Tutto ciò che fanno gli altri è un inutile tentativo di fermare le inesorabili tendenze storiche scoperte e garantite da Karl Marx. In altre parole, i marxisti, con i loro scopi, sono gli organi esecutivi della legge dello sviluppo. Sono gli scopritori e anche gli attuatori di questa legge, più o meno come i rami legislativo ed esecutivo del governo della natura e della società riuniti in un’unica persona. Anche gli altri, in ogni caso, aiutano ad amare queste leggi, ma contro la loro volontà. I poveri vogliono sempre la cosa sbagliata, ma tutti i loro sforzi e le loro attività non fanno altro che favorire la necessità determinata dalla scienza del marxismo. Tutta l’arroganza, tutta l’ossessiva ostinazione, l’intolleranza e l’ingiustizia priva di discernimento, e tutta l’essenza malvagia che il nocciolo scientifico e partitico dei marxisti mostra costantemente, deriva dalla loro assurda e peculiare fusione di teoria e pratica, di scienza e partito. Il marxismo è il professore che vuole governare; è quindi la legittima discendenza di Karl Marx. Il marxismo è una creatura che assomiglia a suo padre e i marxisti assomigliano alla loro dottrina. […] Il professore proletario, l’avvocato proletario e il capo del partito costituiscono quell’autentica caricatura di una caricatura chiamata marxismo, il genere di socialismo che si spaccia per scienza.
Cosa insegna questa scienza del marxismo? Che cosa sostiene? Afferma di conoscere il futuro. Presume di avere una conoscenza così profonda delle leggi eterne dello sviluppo e dei fattori determinanti della storia umana da sapere cosa dovrà venire, in che modo la storia andrà avanti e cosa succederà a partire dalle condizioni e dalle forme di produzione e organizzazione che ci appartengono.
Mai il valore e il significato della scienza sono stati fraintesi in maniera tanto ridicola. Mai l’umanità, specialmente la parte più oppressa, spiritualmente diseredata e arretrata, è stata ingannata in maniera tanto infame, con un’immagine così distorta. […]
C’è anche una legge naturale, una legge della nostra mente, derivata dalla grande legge della conservazione dell’energia, che dice: quello che faremo della nostra vita e del nostro corpo, che sarà la continuazione del nostro passato, la strada da percorrere, lo scaricarsi della compressione, il dispiegarsi dell’inclinazione – tutto ciò viene chiamato “futuro” – non può essere presentato sotto forma di scienza, cioè di fatti compiuti soggetti a classificazione, ma solo sotto forma di sentimento che accompagna una disposizione, della pressione interiore dello sforzo e del desiderio perfettamente adeguato allo stato di equilibrio esterno e mutevole. Questo significa volontà, dovere, presentimento fino alla profezia, visione e creazione artistica. Il punto del percorso in cui ci troviamo non è analogo a un problema matematico o a un rapporto fattuale o addirittura a una legge di sviluppo, sarebbe una parodia della legge di conservazione dell’energia. Questa strada comporta un’audacia temeraria. Conoscenza significa avere vissuto, possedere ciò che è stato. Vita significa vivere, creare e soffrire per ciò che verrà.
Il che implica che non c’è una scienza del futuro e, allo stesso modo, che esiste solo conoscenza autentica del passato ancora vivo, non una scienza inerte che assomiglia a qualcosa di morto e sepolto. Sono compagni di strada del marxismo tutti i moralisti e i politici dello sviluppo, sia che aderiscono alla teoria dello sviluppo per catastrofi e capovolgimenti, come i marxisti pre-darwinisti, sia che vogliano affermare un progresso che avanza uniformemente attraverso un lento e graduale accumulo di piccoli cambiamenti, come i revisionisti darwinisti. […]
Perché avere la possibilità di vivere, se sapessimo, se sapessimo davvero, tutto quello che accadrà? Vivere non significa forse rinnovarsi? Vivere non significa forse, partendo dal vecchio essere, sicuro, consapevole di sé e indipendente, come un mondo autonomo e un’entità eterna, entrare nell’altro mondo che ancora non siamo, nuovo e incerto ma ugualmente eterno, e passare da una porta all’altra e da una schiera all’altra?
Possiamo allora, se ci riteniamo vivi, essere lettori o osservatori o essere spinti da forze note su un terreno altrettanto noto, come se passassimo dal vecchio al vecchio? Non siamo piuttosto il piede che avanza e la mano che afferra anziché gli oggetti che subiscono l’azione? Ogni mattina, al risveglio, il mondo che ci sembra indistinto, sconosciuto e amorfo, come qualcosa di nuovo che ci è donato, che forgiamo e facciamo nostro con lo strumento delle nostre capacità naturali? Voi marxisti, se solo nella vostra vita privata abbondasse la gioia, non vorreste e non potreste trasformare la vita in una scienza! […]
Da dove traggono, allora, tutte le loro superstizioni scientifiche i marxisti? Vogliono ricondurre a ordine e unità i confusi frammenti della tradizione e del presente. Anch’essi sentono il bisogno di semplificazione, di unità e universalità.
Siamo forse di nuovo giunti in contatto con te, oh splendida idea redentrice e universale, tu che sei necessaria al vero pensiero quanto alla vita autentica, tu che crei convivenza e comunità, accordo e coesione, e che sei l’idea nella mente dei pensatori e l’alleanza della natura? Tu, che hai nome spirito!
Ma essi non ti possiedono e perciò ti sostituiscono. Per questo inventano la loro illusoria contraffazione, il frutto surrogato della loro teoria rabberciata e delle loro leggi scientifiche; riconoscono un solo principio generale che forma, mette in relazione e coordina i frammenti, collegando i fatti sparsi: la scienza. E infatti la scienza è spirito, ordine, unità e coesione, ma solo quando è scienza. Quando invece si tratta di truffa e imbroglio di ciarlatani, quando il presunto uomo di scienza è solo un giornalista travestito e un editorialista mal camuffato, quando i cumuli di fatti che compongono le statistiche e le banalità mascherate dialetticamente pretendono di essere una specie di superiore matematica della storia, quasi un infallibile manuale di istruzioni per il futuro, allora questa cosiddetta scienza non è spirito, ma un impedimento all’intelletto. È un ostacolo che alla fine deve essere distrutto con argomenti e risate, con il fuoco e il furore.
Non conoscete le altre forme dello spirito e così avete messo la maschera del professore davanti ai vostri volti di avvocati, quando non siete veri professori che vogliono fare i profeti, come quell’altro professore, il vostro santo patrono, che voleva suonare il liuto, ma non ne era capace.
Noi, invece, sappiamo cos’è lo spirito e lo abbiamo ripetuto qui. Abbiamo una connessione universale col corso dell’umanità che è diversa per natura e origine dalla vostra. La nostra conoscenza è intrisa dei nostri grandi sentimenti fondamentali e della nostra forte volontà di spingerci avanti: noi siamo – ma prima, poveri marxisti, prendete una sedia, sedetevi e tenetevi forte, perché sta per giungere un’affermazione terribile, presuntuosa, che allo stesso tempo previene un’accusa che avreste voluto rivolgermi in tono sprezzante -, noi siamo poeti, e vogliamo eliminare i truffatori della scienza, i marxisti freddi, vuoti, senza spirito, affinché la visione poetica, la creatività artisticamente concentrata, l’entusiasmo e la profezia, trovino il loro spazio per agire, lavorare e costruire qualcosa, d’ora in poi, nella vita, con i corpi degli uomini, per la vita associata, per il lavoro e per la solidarietà di gruppi, comunità e popoli.
Infatti, il sogno a lungo cantato dal poeta, una linea mirabile, una brillante gamma di colori, diventerà finalmente realtà. Noi poeti vogliamo creare nel cuore della vita e vedere chi è il più grande e il più forte praticamente: voi, che affermate di sapere e non fate nulla, o noi altri, che possediamo l’immagine vivente, il fermo sentimento e l’energica volontà. Siamo noi che desideriamo fare tutto ciò che si può fare, ora e per sempre, senza sosta, che desideriamo radunare gli uomini che sono con noi in un cuneo che avanza, costruendo e demolendo senza sosta, passando sopra di voi con risate, ragioni e rabbia, e superando le zolle più dure con attacchi e battaglie. Noi non formiamo nessuna scienza e nessun partito, ancora meno un’influenza intellettuale, come la intendere voi, perché quando parlate di una cosa del genere, avete in mente di portare lumi alle masse, con opuscoli da pappagalli adatti a un’educazione a metà. […]
Di conseguenza, secondo Karl Marx, il cammino progressivo dei nostri popoli, dal Medioevo a oggi e verso futuro, è un percorso che si svolge «con la necessità di un processo naturale» (secondo il testo inglese, che è ancora più chiaro: con la necessità di una legge naturale) e inoltre con crescente rapidità. Nella prima fase, quella del piccolo commercio, esistono solo uomini medi, mediocri, piccolo borghesi e gente miserabile del genere. Moltissimi possiedono ancora una proprietà molto piccola. Poi subentra il capitalismo, la seconda fase, l’ascesa del progresso, la prima fase dello sviluppo e la strada verso il socialismo. Il mondo appare del tutto diverso. Alcuni hanno proprietà molto grandi; la massa degli uomini non possiede nulla. Il passaggio a questa fase è stato difficile e non poteva essere compiuto senza violenza e azioni malvagie. Tuttavia, in questa fase, il progresso verso la terra promessa procede sempre più rapidamente e facilmente sui binari ben oliati dello sviluppo. Grazie a Dio, le masse si sono proletarizzate in numero crescente, grazie a Dio, ci sono sempre meno capitalisti, questi si espropriano a vicenda finché moltitudini di proletari come la sabbia del mare, affrontano giganteschi imprenditori rimasti da soli, saltando ora alla terza fase, il secondo processo di sviluppo. Il passo definitivo verso il socialismo è solo un gioco da ragazzi: «Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica». La «centralizzazione dei mezzi di produzione» e la «socializzazione del lavoro», dice Karl Marx, sono state realizzate sotto l’egida del capitalismo. Parlando di questo modo di produzione, dice che fiorì sotto il monopolio del capitale, perché cade sempre facilmente preda di rapimento poetico quando elogia le ultime bellezze del capitalismo in procinto di trasformarsi in socialismo. Ora è giunto il momento: «La produzione capitalista, con la necessità di un processo naturale, genera la propria negazione»: il socialismo. Perché la «cooperazione» e la «proprietà comune della terra», dice Karl Marx, sono già «una realizzazione dell’era capitalistica». Le grandi, enormi, quasi infinite, masse di uomini proletarizzati, in realtà non possono contribuire quasi per nulla al socialismo. Devono semplicemente aspettare il tempo a venire.
[…] Forse Karl Marx ha visto già a metà dell’Ottocento tracce o inizi visibili della proprietà comune della terra e dei mezzi di produzione svilupparsi dal capitalismo monopolistico. Per quanto riguarda la cooperazione, infatti, la questione, a un esame più attento, è già abbastanza chiara. Per me, però, cooperazione significa azione comune e lavoro comune, a meno che un folle consideri tali la comune trazione di un aratro da parte di una mucca e un cavallo o il lavoro comune degli schiavi negri in una piantagione di cotone o in un campo di canna da zucchero, sulla base del luogo e della divisione del lavoro. Ma che sto dicendo? Quel folle è proprio Karl Marx! Che futuro! Quale ulteriore sviluppo del capitalismo! Il brillante studioso si è fermato al presente. Ciò che Karl Marx ha definito cooperazione, che si suppone sia un elemento del socialismo, è la forma del lavoro che egli ha visto nell’impresa capitalista del suo tempo, nel sistema di fabbrica, in cui migliaia di persone lavorano alla macchina e la conseguente pervasiva divisione del lavoro per la produzione di merci per il mercato mondiale capitalista. Poiché afferma, senza porsi alcun dubbio, che il capitalismo «già si basa di fatto sulla conduzione sociale della produzione»!
Sì, queste enormi sciocchezze vanno controcorrente, ma è indiscutibilmente la vera opinione di Karl Marx che il capitalismo sviluppi il socialismo completamente a partire da sé e che il modo di produzione socialista “fiorisca” sotto quello capitalista. Disponiamo già di una cooperazione, siamo almeno sulla strada che porta alla proprietà comune della terra e dei mezzi di produzione. Alla fine non rimarrà che schiacciare i pochi proprietari rimasti. Tutto il resto è già sbocciato nel sistema capitalistico. […]
Ora si capirà cosa voglio dire molto francamente a questa cosa non meno moderna, che si chiama marxismo: che è la piaga del nostro tempo e la maledizione del movimento socialista. Ora si dirà ancora più chiaramente che è così, perché così è, e perché il socialismo può nascere solo a partire dall’avversione mortale verso il marxismo. […]
Ovunque si sia verificato un cambiamento e un rinnovamento travolgente per l’umanità, si può osservare come i fattori decisivi della svolta siano stati l’impossibile e l’incredibile. […] In verità, le cose andrebbero meglio per il socialismo e per la nostra gente se al posto della sistematica dabbenaggine, che chiamate la vostra scienza, ci fossero le fiere stupidaggini di quegli uomini caldi e pieni di entusiasmo, che voi non potete sopportare. Sì, vogliamo davvero fare quelli che voi chiamate esperimenti. Vogliamo fare dei tentativi. Vogliamo creare dal cuore e poi vogliamo, se necessario, subire il naufragio e la sconfitta, finché non avremo la vittoria e la terra non sia avvistata. Uomini cinici e incolti, filistei sonnolenti stanno conducendo il nostro popolo. Dove sono le creature alla Colombo, che preferiscono navigare in alto mare su una nave fragile verso l’ignoto piuttosto che aspettare passivamente gli sviluppi delle cose? […]
La venerazione senza limiti degli adoratori del progresso di fronte alla tecnica è la chiave per comprendere l’origine del marxismo. Il padre del marxismo non è né lo studio della storia, né Hegel. Non è né Smith né Ricardo, né uno dei socialisti pre-marxisti. Non è né una condizione democratica rivoluzionaria, né tanto meno la volontà e il desiderio di cultura e bellezza tra gli uomini. Il padre del marxismo è il vapore.
Le vecchiette fanno profezie con i fondi di caffè. Karl Marx faceva profezie con il vapore.
Ciò che Marx considerava simile al socialismo, la fase preparatoria che precede immediatamente il socialismo, non era altro che l’organizzazione dello stabilimento produttivo che le caratteristiche tecniche della macchina a vapore hanno determinato all’interno del capitalismo.
Così si sono incontrate due forme di centralizzazione completamente diverse: da un lato, la centralizzazione economica del capitalismo, il ricco che concentra intorno a sé più soldi e più lavoro possibile; da un altro lato, la centralizzazione tecnica dell’impianto industriale, il motore a vapore, che deve avere le macchine e i lavoratori vicini a sé, come centro della potenza, e ha portato con sé i grandi impianti di produzione, affinando la divisione del lavoro. […]
Il capitalismo e lo Stato devono unirsi, questo è in realtà l’ideale del marxismo. Anche se non vogliono sentir parlare di ideale, noi affermiamo che questa è la tendenza di sviluppo che hanno scoperto e cercano di affermare. Non vedono che l’enorme potere e la desolazione burocratica dello Stato è necessaria solo perché la nostra vita comunitaria ha smarrito lo spirito, perché sono scomparsi la giustizia e l’amore, le associazioni economiche, e non fioriscono i molteplici piccoli organismi sociali. Non vedono nulla di tutto questo profondo decadimento dei nostri tempi: sono abbagliati dal progresso. La tecnologia progredisce, naturalmente. Lo fa in realtà in molti momenti della civiltà, anche se non sempre; esistono anche civiltà senza progresso tecnico. Progredisce soprattutto in tempi di decadenza, di individualizzazione dello spirito e di atomizzazione delle masse. È proprio questo il punto. Il vero progresso della tecnologia, insieme all’autentica bassezza dell’epoca, è – per parlare marxisticamente, una volta tanto, a beneficio dei marxisti – l’effettiva base materiale della sovrastruttura economica, cioè dell’utopia marxista del socialismo progressista. Tuttavia, il capitalismo e lo Stato centralizzato rappresentano anch’essi il progresso, ai loro occhi, poiché non solo il progresso tecnologico si riflette nel loro angusto spirito, ma anche le altre tendenze del tempo. […] Nel caso del marxismo, è vero che la sua ideologia è solo la sovrastruttura del male del nostro tempo. Nei periodi di decadenza prevale infatti un’assenza di spirito che è l’espressione del tempo, pertanto oggi predominano i marxisti. Non possono sapere che i tempi di civiltà e piena realizzazione non possono svilupparsi a partire dal declino – che loro chiamano progresso – ma dallo spirito di coloro che, per la loro natura, non hanno mai appartenuto al proprio tempo. Non possono sapere né comprendere che quella che, nei grandi periodi di cambiamento, si chiama storia non nasce da contemporanei filistei, e quindi non scaturisce dai processo sociali, ma da uomini isolati e solitari, che sono isolati proprio perché il popolo e la comunità sono di casa in loro e sono fuggiti verso di loro e con loro.
Senza dubbio i marxisti credono che se il diritto e il rovescio del nostro degrado si unissero, il modo capitalistico di produzione e lo Stato, il progresso e lo sviluppo sarebbero compiuti e potrebbero trionfare la giustizia e l’uguaglianza. Lo Stato economico globale prospettato dai marxisti, che sia l’erede degli Stati precedenti o il loro Stato mondiale, è una struttura repubblicana e democratica: essi credono davvero che le leggi di uno Stato del genere assicurerebbero il benessere di tutta la gente comune, dato che proprio la gente comune costituisce lo Stato. Qui siamo autorizzati a scoppiare in una risata irrefrenabile per questa nuova fantasia da filistei, la più pietosa di tutte.

[Appello al socialismo, 1911]