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Non è il numero perfetto
Sicché, per il presidente di tutti gli italioti ciò che è avvenuto 30 anni fa a Mogadiscio (lo scontro armato noto come la battaglia del checkpoint pasta) è «una pagina di grande significato per il Paese», talmente fondamentale da spingerlo ad inviare «un deferente pensiero alla memoria dei tre soldati italiani che persero la vita in terra somala, per contribuire a ripristinare la pace in un Paese stremato da anni di guerra civile, di carestia e di pestilenze». Commozione condivisa sia dalla fratella d'Italia a capo del governo, secondo la quale i militari italiani all'epoca erano impegnati a «garantire l'arrivo degli aiuti umanitari al popolo della Somalia», sia dal ministro della Difesa (nonché noto affarista…
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Catastrofe in corso
I mass-media di tutto il mondo hanno dato sabato 10 giugno l'annuncio della scomparsa di Theodor Kaczynski, più noto come Unabomber, il matematico diventato solitario eremita in una capanna sperduta nel Montana, da dove per 18 anni sfidò la civiltà tecnologica inviando micidiali pacchi esplosivi a suoi programmatori e responsabili. Per ricordare quest'uomo bollato da quasi tutti «pazzo criminale», riproponiamo qui l'introduzione alla prima edizione francese del suo celebre Manifesto, apparsa pochi mesi dopo il suo arresto e firmata da una delle ultime voci del surrealismo.
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La cieca vita
Questi esseri umani che trascorrono la propria vita agli ordini dell'autorità, del denaro, della tecnologia, davanti a schermi di tutte le dimensioni, non sono forse gli ignavi disprezzati dal sommo poeta, «le genti dolorose c'hanno perduto il ben de l'intelletto»? Questi uomini e queste donne vogliosi solo di carriera e sicurezza non hanno «l'anime triste di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo»? Gli onesti e rispettosi cittadini usi ad obbedir tacendo pur di non avere guai, pur di non correre rischi, non assomigliano a «questi sciaurati, che mai non fur vivi»? Delle vittime della propria ignavia non si può dire che «la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidiosi son d'ogne altra…
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In tempi di ecocidio
Alcuni interrogativi contemporanei per l’azione anarchica
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Bolscevismo… e questione nazionale
Dopo l'abolizione del dispotismo zarista durante la rivoluzione del 1917, le prospettive di rapporti nuovi e liberi tra i popoli, fino a quel momento sottoposti al violento giogo dello Stato russo, si profilarono all'orizzonte dei lavoratori. L'idea di una totale autodeterminazione, fino alla separazione completa dallo Stato russo, nacque così naturalmente tra questi popoli. Si espresse in maniera molto netta in Ucraina, senza conoscere fin da subito una formulazione ben definita.
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«Che cos’è ‘sto lavoro?!!»
L'inferno non sarà di questo mondo, ma una cappa di piombo sembra essere pesantemente piantata sulle coscienze e sui cuori, poiché il tentativo di riflettere sulla nostra sorte in modo più profondo e diverso dalle logiche contabili e gestionali dello Stato, dei media e dei sindacati, si scontra troppo spesso coi muri fatalisti o moralistici che fanno soffocare il pensiero negli schemi dominanti: «è sempre stato così», «ci deve pur essere qualcuno che decide per gli altri», «basta votare o schierarsi», quando non è la più semplice rassegnazione a giustificare l'abbandono per difetto: «in ogni caso, alla fine i politici e i padroni fanno quello che vogliono, quindi non serve a nulla agitarsi troppo».
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«Ed ecco a voi…»
Quello che accade è che la TV altera il significato di «essere informati», creando una specie di informazione che sarebbe più giusto chiamare disinformazione. Uso questa parola quasi con lo stesso significato che danno ad essa gli agenti della CIA o del KGB. Disinformazione non significa falsa informazione. Significa informazione sviante – spostata, irrilevante, frammentaria, superficiale –, significa informazione che crea l’illusione di sapere qualcosa, ma che di fatto allontana dal sapere.
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Bispensiero della Vittoria
Sempre e comunque si tratta di un successo, di un qualcosa che, in un mondo aperto quale quello in cui viviamo, condurrà a poco a poco all’obiettivo finale che si sarebbe voluto raggiungere. E che importa se prima le aspettative erano diverse, se altro si era detto e fatto? In fondo, l’Eurasia con chi è in guerra?
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Inciampare per non strisciare
Testardo chi continua a conficcare la testa nell’infinito buio del mondo. Pieni di ferite, molto spesso non si riesce a sopportare la desolazione della vita, la sofferenza che ci circonda, il dolore che ci scava, sempre più in profondità. Per niente facile accendere una piccola luce nel mondo, dove ci sono pochi occhi in grado di scorgerla. Certe volte, quando si cammina in pieno giorno, tutto diventa buio. Non è facile ripercorrere le stesse strade, come i pellerossa, che seguivano gli stessi sentieri per tentare di fermare il tempo.
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Accettare la servitù per non morire
C’è chi ritiene il carattere battagliero dei francesi un tratto nazionale, retaggio storico di quella Grande Rivoluzione che mandò sulla ghigliottina i monarchi di Francia, spiegando così il susseguirsi di movimenti sociali dagli obiettivi riformisti ma dalle pratiche radicali. Vera o falsa, è un’ipotesi suggestiva che spiegherebbe anche il motivo della differenza con l’Italia. Se nell’esagono si respira sempre l’aria inebriante del 14 luglio, nella «terra dei morti» a forma di stivale pare indelebile il fetore debilitante dell’8 settembre, data simbolo dell’italica cialtroneria, ipocrisia e inettitudine. Basti considerare l’attualità delle riflessioni che seguono, scritte da un giurista insospettabile di tentazioni sovversive e dedicate allo sbando del Belpaese dopo l’armistizio.