Non è il numero perfetto
«Le azioni sono considerate buone o cattive non per il loro valore intrinseco, ma a seconda di chi le compie, e non c’è praticamente alcuna forma di abuso che non cambi il proprio colore morale quando è commesso dai nostri»
(George Orwell)
«Questo è il trattamento che riserviamo a questi bastardi negri»
(anonimo soldato italiano in Somalia nel 1993, dal documentario La linea sottile)
Sicché, per il presidente di tutti gli italioti ciò che è avvenuto 30 anni fa a Mogadiscio (lo scontro armato noto come la battaglia del checkpoint pasta) è «una pagina di grande significato per il Paese», talmente fondamentale da spingerlo ad inviare «un deferente pensiero alla memoria dei tre soldati italiani che persero la vita in terra somala, per contribuire a ripristinare la pace in un Paese stremato da anni di guerra civile, di carestia e di pestilenze». Commozione condivisa sia dalla fratella d’Italia a capo del governo, secondo la quale i militari italiani all’epoca erano impegnati a «garantire l’arrivo degli aiuti umanitari al popolo della Somalia» (sic!), sia dal ministro della Difesa (nonché noto affarista nel settore bellico), lesto a commemorare «un episodio che racconta il coraggio dei soldati italiani e della continuità con cui l’Italia si è sempre adoperata per aiutare Paesi amici, bisognosi di sicurezza, libertà, pace».
Eppure, a detta di diversi testimoni, i militari in Somalia non portarono altro che soprusi, stupri, torture, massacri. Appena un mese prima dell’oggi celebrata battaglia, il settimanale Epoca aveva pubblicato le fotografie di prigionieri somali incappucciati e incaprettati («quei somali lì non sono mica figli di Maria», sottolineava sprezzante l’allora comandante italiano della missione, il generale Loi). Secondo il maresciallo Aloi, autore di un diario scottante su quella missione, 17 somali vennero gettati a mare legati e incappucciati, ma questo episodio «è solo uno di quelli a conoscenza dei magistrati. E non c’è solo la mia testimonianza».
Da parte sua, il generale Fiore ha tenuto a precisare che, soltanto nella prima parte della missione, almeno 200 somali hanno perso la vita per mano dei soldati italiani. Molte testimonianze sono concordi nell’affermare che nei discorsi rivolti alla truppa gli ufficiali invitavano i militari a considerare i somali come «sub-umani» e a non lesinare i proiettili in zona operativa o l’uso della forza contro la popolazione civile. Quanto agli stupri, documentati nel 1997 dal settimanale Panorama, sapete com’è: «quando gli ufficiali volevano divertirsi, tutta la banda gli andava dietro». Sempre Aloi precisò che «non si trattava di prostitute, erano per lo più donne che lavoravano al campo e che subivano il ricatto di accondiscendere o essere cacciate. In ogni campo degli italiani c’era l’ “angolo dello stupro”, un luogo dove avvenivano le violenze».
In seguito sarà il caporalmaggiore Patruno a spiegare come avvenivano i rastrellamenti: «entravamo nei villaggi e perquisivamo le capanne in cerca di armi. Spesso facevamo devastazioni e lasciavamo i somali senza casa. Le capanne sono di fango e canne e molto basse, così per non prenderci il fastidio di entrare le scoperchiavamo. Distruggevamo anche le riserve d’acqua. Per procurarsi quell’acqua magari i somali avevano fatto chilometri a piedi». Per sapere come avvenivano gli interrogatori dei prigionieri non occorre molta fantasia, basta guardare le foto apparse nel 1997 sempre su Panorama (elettrodi sui testicoli e altri simpatici svaghi compiuti dai militi noti nostrani).
E poi ci si stupisce che il 2 luglio 1993 quegli invasori siano stati attaccati a Mogadiscio? Per altro, a questo proposito il solito Aloi ricordava che «il giorno precedente la battaglia, fu violentata e uccisa una donna del clan di Aidid. Molti lo sapevano. Avevamo paura. Ma i nostri comandanti non potevano spiegare le ragioni per cui era inopportuno quel giorno compiere il rastrellamento».
Quanti civili somali vennero uccisi quel giorno rimane un mistero. Anzi, un doppio mistero, giacché oltre al numero non si conosce nemmeno il momento della loro scomparsa: a che ora morirono? La mattina, mentre infuriava la battaglia, o la sera, nel corso del raid notturno organizzato dai rabbiosi commilitoni delle vittime in cerca di facile vendetta?
Boh, forse bisognerebbe chiederlo a Ilaria Alpi…