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All’orribile, il tumulto
Insensibili di fronte alla gente, si dirà. Ma quanto sono patetici i piccoli usufruitori della realtà, volontari e promotori della ginnastica dell’obbedienza, che collaborano attivamente al genocidio continuo? Aberranti e patetici come i signori che invocano “un altro progresso e un altro Stato”, bramosi di autorevolezza per mettersi in testa al treno, per soddisfare il loro narcisismo e la loro sete di dominio. Essi non si rendono conto che non è mai esistito un tempo adatto per impadronirsi del treno: lo si può solo fermare.
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Fuori dal branco
Non intendo dire che, una volta “fuori”, i dogmi religiosi appaiano all’improvviso artificiosi e arbitrari; no, essi non perdono subito il loro prestigio, il loro fascino, la loro plausibilità; ma, presto o tardi, finiscono col manifestarsi per quello che sono: le verità proprie ed esclusive della Chiesa, il suo patrimonio spirituale, quello che la distingue dalle altre chiese, anche cristiane; in una parola, la sua ideologia.
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Dov’è la guerra?
Ad oltre 2.500 chilometri di distanza, si dirà, in quell'Ucraina dove è in corso un'invasione brutta e cattiva che in un anno ha provocato circa 8.000 morti fra i civili bombardati per altro da entrambe le parti (a differenza dell'invasione bella e buona dell'Iraq nel 2003, che soltanto il primo anno causò 13.000 morti fra civili bombardati dai soli eserciti invasori). Ma ne siamo proprio sicuri, oppure si tratta di una delle tante illusioni necessarie per meglio continuare a tirare a campare? Ebbene, al di là delle Alpi questa illusione è appena finita.
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Il terremoto di Messina
Mentre gli umani riposano, i ricchi in un tranquillo far niente, i poveri in un sonno fatto di stanchezza e di sfinimento, dalle viscere della terra sale un urlo sinistro. Con convulsioni titaniche, la terra apre abissi giganteschi, scuote il grappolo umano abbarbicato al suo fianco. Con una grandiosa rivolta, si sbarazza dell’uomo parassita, che vive d’essa e per essa.
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Nel paese delle democrazie
Se in Germania scattano le manette ai polsi di chi va in giro esponendo una lettera “Z” sul finestrino dell'automobile, mentre in Inghilterra vengono puniti gli attivisti che evocano la crisi climatica in tribunale, qui in Italia si arrestano singoli individui con la fantasiosa accusa di «autoaddestramento al terrorismo» oppure si sanzionano artisti che invitano a «demilitarizzare il mondo». Negli ultimi anni è il diritto ad attraversare una fastidiosa eclissi, oppure è il potere ad aver sempre meno bisogno di camuffare la propria essenza totalitaria? Bisogna aggrapparsi al lumicino costituzionale, o saltare nel buio dell'anomia? Riproponiamo qui un testo apparso sì otto anni fa, ma che affronta argomenti quanto mai attuali.
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«Nessuna giustizia, nessuna pace»
Non si tratta di una rivendicazione, ma di un’affermazione. Non è un’educata richiesta, né un invito formale e nemmeno un seccato rimprovero indirizzato a chi sta in alto. È l’espressione di una constatazione, spesso amara, sempre rabbiosa, frutto dell’esperienza e della logica conseguente, che si diffonde tra chi sta in basso. Serpeggia, si insinua, si allarga e poco alla volta, goccia dopo goccia, monta fino ad esplodere. Non ci può essere pace dove non c’è giustizia. Laddove trionfa l'abuso, il sopruso, l'arroganza, non ci può essere tranquillità. Non ci deve essere tranquillità.
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Cinque a uno
Scorpion, acronimo di Street Crimes Operation to Restore Peace in Our Neighborhoods, è il nome di un corpo speciale della polizia di Memphis, creato lo scorso anno, nato per fare il bello e il cattivo tempo nei quartieri di Memphis: massacrare, arrestare e reprimere le persone che non hanno la fortuna di aver la pelle di color bianco (ma non devi essere ispanico…) negli Stati Uniti d’America. Poche ore fa è uscito un video in cui un ragazzo afroamericano di nome Tyre Nichols non viene semplicemente arrestato… ma viene torturato in strada da cinque sbirri (sotto gli occhi imperturbabili di alcuni vigili del fuoco), anch’essi afroamericani, con taser, verghe, manganelli e spray al peperoncino. Questa…
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Il miglior attacco non è la difesa
Lettera aperta (e disperata) a chi mangia il nostro stesso pane
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E se tornassimo indietro…
Le nubi che si profilavano nell'autunno del 2017 non erano le più favorevoli per intraprendere lunghe passeggiate. Eppure è stato nel corso di quei mesi piovosi, durante scambi e discussioni animati, esitazioni e fantasticherie, che l'idea di un bollettino anarchico periodico su carta è infine maturata. Più che una rivista o un giornale di agitazione, abbiamo inteso dar vita piuttosto a quello che fra di noi chiamavamo, non senza una punta di orgoglio, un foglio di lotta. Era giunto il momento di lanciare qualcosa di nuovo, considerato lo scoramento che stava prendendo il sopravvento sul precedente entusiasmo.
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Annientati dall’assenza
Chi è rinchiuso in carcere è privato con la forza della propria libertà. Non che chi è fuori da quelle mura si possa definire libero, ma perlomeno non è completamente in mano ad un’istituzione totale. È questa la distinzione qualitativa che non può essere posta in secondo piano rispetto al tentativo di settorializzare e differenziare le esperienze di vita in base al regolamento penitenziario. Chi è fuori è fuori, e chi è dentro è dentro. Quella chiave che gira nella toppa lo ricorda senza lasciare spazio alcuno al dubbio.