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A Belfast c’è ancora ira
Venticinque anni dopo la firma dell’accordo detto del Venerdì Santo, che ha «messo fine ai 30 anni di guerra civile in Irlanda del Nord» secondo la formula consacrata, se c’è un luogo che incarna ancora oggi quel lungo conflitto, è proprio Belfast. Poiché, se qualcosa è cambiato in questa città martoriata, non è certo la miseria o i muri perenni eretti tra quartieri protestanti e cattolici, ma piuttosto il fatto che milioni di turisti si accalcano ogni anno durante i viaggi organizzati per sbirciare gli affreschi realizzati in onore di questo o quel martire. Magari prima di andare a fare un giro dalle parti dei celebri giardini botanici o ancor meglio al museo del Titanic...
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I più realisti nemmeno ci pensano a sottrarsi ad una vita trascinata all’insegna dello sfruttamento. I meno realisti assicurano di possedere dei sogni, ma di essere impossibilitati a realizzarli. Per fortuna esistono anche quelli considerati «folli», loro, che vanno a prendersi ciò che desiderano laddove non viene nascosto, in qualche caso ostentato, come accade in una delle zone più centrali e sfarzose di una Parigi già traumatizzata dai recenti saccheggi e dalle rivolte barbare ad opera dei diseredati della società. Il lusso è una provocazione per i poveri, tanto quanto il rispetto della tracotanza dei ricchi. E quindi…