Inciampare per non strisciare

«Dovremmo avanzare, anche sul percorso più breve,
con imperituro spirito di avventura,
come se non dovessimo mai far ritorno,
preparati a rimandare, come reliquie,
i nostri cuori imbalsamati nei nostri desolati regni»
Henry David Thoreau

Testardo chi continua a conficcare la testa nell’infinito buio del mondo. Pieni di ferite, molto spesso non si riesce a sopportare la desolazione della vita, la sofferenza che ci circonda, il dolore che ci scava, sempre più in profondità. Per niente facile accendere una piccola luce nel mondo, dove ci sono pochi occhi in grado di scorgerla. Certe volte, quando si cammina in pieno giorno, tutto diventa buio. Non è facile ripercorrere le stesse strade, come i pellerossa, che seguivano gli stessi sentieri per tentare di fermare il tempo.
Quando qualcuna, ostinata, si vuole perdere nel tutto, anche nella notte, spesso non si accorge della mutata luminosità della strada percorsa e battuta. Difficile camminare da sole nel buio, difficile scomparire con tutti i riflettori artificiali che si annidano nelle strade, che rimandano a certe scene da film in cui un prigioniero evaso da una gabbia viene ricercato e abbagliato con un faro azionato da una torretta di guardia.
Il mondo visto di notte, se non si restasse asserragliati davanti ad uno schermo asettico – se solo si riuscisse ad uscire dai consueti binari e ci si donasse all’incanto di un universo altro – ha qualcosa di seducente e accattivante. Poi ci si ferma, si ripensa, si riformula quello che si tenta di incarnare e ci si chiede come mai si stia ancora cercando di oltrepassare dei confini attraverso la cruna della poesia. A cosa è servito? Le persone sono una cosa, sono funzione di cosa. E allora, perché continuare a ritenere giusto distruggere i simulacri del mondo?
Le persone sembrano arrese, cercano di barcamenarsi nella loro vita morta. Non si guardano in faccia, cercano solo il proprio posticino in questo gigantesco mondo, così realistico e squallido. Se si esige altro, gli individui malleabili pensano che si tratti solo di favole della buonanotte o di sogni sbiaditi.
Le persone hanno bisogno di intontirsi, per questo il loro dito scorre incessantemente su un piccolo schermo. Le persone hanno bisogno di esserci non di essere tutt’altro. Le parole sono solo quantità infinitesimali che sobbalzano disperatamente tra i flutti del buio. Ogni goccia di gioia ti investe in un mare di tormento. E lo spazio si restringe sempre più…
Perché vivere in un simile mondo? Perché?
Cosa succede quando un bipede umano vagabonda? Succede che rimane con un piede a terra e un altro in aria, che si sbilancia continuamente con il rischio di inciampare. Succede che deve correggere un inciampo con un altro inciampo, come se per non cadere si dovesse mettere in condizione di capitombolare di nuovo. Ma può succedere anche che possa reinventare una continua caduta in uno spostamento ad un altro luogo. Non andare da un punto all’altro di un unico segmento orizzontale di strada, non girare in circolo in attesa della rovinosa caduta, dove l’inizio può coincidere solo con la fine, ma lanciarsi in una mossa impensabile prima, uno scarto, un salto di piani. Inventarsi, per far uscire il mondo che si è generato da dentro e per rompere con le esistenze imprigionate in un funereo turbamento.
Solo chi ha gli incubi di chi sogna può farsi rapire da questa tentazione…