E se tornassimo indietro…
Le nubi che si profilavano nell’autunno del 2017 non erano le più favorevoli per intraprendere lunghe passeggiate. Eppure è stato nel corso di quei mesi piovosi, durante scambi e discussioni animati, esitazioni e fantasticherie, che l’idea di un bollettino anarchico periodico su carta è infine maturata. Più che una rivista o un giornale di agitazione, abbiamo inteso dar vita piuttosto a quello che fra di noi chiamavamo, non senza una punta di orgoglio, un foglio di lotta. Era giunto il momento di lanciare qualcosa di nuovo, considerato lo scoramento che stava prendendo il sopravvento sul precedente entusiasmo. Le rivolte e le sommosse nel Magreb e in Medio Oriente erano appena state soffocate nel sangue, o si erano trasformate in guerre civili dai contorni sempre più contraddittori. Le lotte specifiche contro le strutture di reclusione o il nucleare – che erano state terreno di molteplici esperimenti di organizzazioni informali, progettualità e agitazioni – cominciavano a dissolversi. L’ennesimo movimento sociale che avrebbe dovuto dare fuoco alle polveri si stava evidentemente facendo attendere. E all’interno di quella vasta lotta territoriale che è stata la ZAD di Notre-Dame-des-Landes, le logiche politicanti e gestionali, dopo anni di connivenze e conflitti, hanno finito col prevalere sulle ultime frange offensive. Così abbiamo lanciato il primo numero di questo bollettino come sfida per ricominciare. Non per cantare all’infinito lo stesso ritornello o ripetere gli errori del passato, non per confinare lo sguardo nel giardino ben delimitato della Doxa anarchica del momento, ma per esplorare strade di nuove progettualità in un mondo in piena mutazione, basandoci su esperienze recenti dell’agire anarchico autonomo dalle molteplici sfaccettature, tentando di elaborare una riflessione più approfondita.
È con queste esigenze in mente che abbiamo difeso la possibilità dell’azione minoritaria anarchica, l’attacco diffuso, l’organizzazione informale, i gruppi di affinità e autonomi, sia in tempi più tranquilli che in tempi più foschi (quelli del Grande Confinamento) o di rivolta sociale (quella dei Gilet Gialli). Nel corso delle ricerche e degli approfondimenti delle evoluzioni del dominio, il nostro sguardo si è sempre più concentrato anche sugli sviluppi tecnologici che stanno modificando radicalmente i rapporti sociali rafforzando al tempo stesso l’infrastruttura di una terribile prigione a cielo aperto, oltre che sulle devastazioni irreversibili provocate dall’industrialismo. Queste analisi, ma soprattutto la realtà della conflittualità, non hanno tardato a farci intravedere una possibile via per riarmare la sovversione e proporre un metodo di azione praticabile e adatto al mondo che abbiamo di fronte: il sabotaggio delle sue infrastrutture logistiche, energetiche e tecnologiche.
Questa ricerca alquanto ostinata ci ha probabilmente portato, nelle riflessioni avviate mese dopo mese negli ultimi cinque anni, a trascurare alcuni aspetti o a sottovalutare altre notevoli evoluzioni del dominio. È una constatazione, più che un rammarico, perché abbiamo sempre voluto considerare questo bollettino, anche quando non c’era quasi più una pubblicazione anarchica periodica che non fosse relegata alla sfera digitale, come un contributo tra gli altri nel magma della teoria e dell’azione. Pure alcune scelte supplementari, più legate al modo di redigerlo e diffonderlo, in particolare il suo rigoroso anonimato, sono state pensate fin dall’inizio in modo che il bollettino potesse essere concepito fra altri strumenti.
D’altronde, inutile nasconderlo, abbiamo anche cercato volontariamente di rompere con certe abitudini, consuetudini e riflessi condizionati del movimento anarchico, prendendo inoltre di mira ciò che al suo interno, a nostro avviso, deriva da un riciclaggio di cadaveri. Sul primo punto, questo bollettino ha dedicato poco spazio, per esempio, alla lotta «antirepressiva», non perché la sorte riservata a quelle compagne e compagni ci lasci freddi o indifferenti, ma in quanto riteniamo che spezzare l’accerchiamento repressivo passi per una progettualità che attacca e sceglie lucidamente il proprio terreno d’azione, più che tentando di restituire i colpi – ammettiamolo, spesso invano – rimanendo esattamente dove lo Stato vuole che restiamo.
Quanto al secondo punto, si sarà notato che non ci siamo allineati alla resurrezione di concetti obsoleti come «la classe», «i padroni» o «il proletariato» che proliferano negli ultimi tempi in seno al movimento anarchico internazionale, né ai fantasmi a proposito delle famose «masse popolari oppresse» col loro consueto seguito vittimista, né all’attuale spirale delle cosiddette «politiche identitarie». Abbiamo piuttosto cercato di porre questioni che una parte del movimento a volte sembra preferisca ignorare per restare il più vicino possibile a motivi più «classici» (il razzismo, la gentrificazione, i movimenti sociali, l’esclusione).
Quale progettualità sviluppare nell’èra del brutale cambiamento climatico, della transizione energetica, della ristrutturazione del capitalismo industriale? Quali mezzi darsi per continuare ad attaccare di fronte all’ingabbiamento digitale del mondo e alla sorveglianza che ne deriva? Quali angoli e terreni di attacco diventano prioritari oggi? Quali forme di organizzazione informale ci appaiono auspicabili e necessarie? Come prepararsi per continuare ad agire in tempi più instabili, di guerra, di catastrofi, di «tracolli» parziali? Certo, non sarà questo piccolo bollettino ad aver posto tutte queste domande sul tavolo, per quanto speriamo di avervi contribuito nella nostra misura, a rischio d’essere stati talvolta maldestri o limitati nelle nostre proposte. E piuttosto che considerare tali questioni come qualcosa di concluso, pensiamo che sia perfino cruciale che vengano riprese e sviluppate all’interno del movimento internazionale, non necessariamente per arrivare alle stesse conclusioni, ma quanto meno per sforzarsi di non sprofondare nella sclerosi, ancorché combattente come vanta di essere. È appunto per tutto ciò che abbiamo l’impressione di essere giunti al limite di ciò che si possa fare con un simile bollettino, poiché certi approfondimenti e discussioni non possono che proseguire altrove più che in questo tipo di strumenti.
Volgendo lo sguardo ai quasi sessanta numeri di Avis de tempêtes già pubblicati, possiamo notare rileggendoli come certe riflessioni si siano affilate, altre siano state tralasciate lungo il percorso, ed altre ancora siano state rafforzate dal confronto critico con la realtà dello scontro. Questo confronto critico si è sviluppato anche cercando di guardare oltre i confini, per interessarsi a dinamiche di lotta e a rivolte che si stavano svolgendo un po’ più lontano da noi, dalla guerra civile in Siria alla rivolta sociale in Cile, dalla lotta dei Mapuche alle dure lotte degli anarchici nei paesi dell’Est e in Russia. Questa tensione internazionalista corrisponde del resto alla stessa volontà di approfondimento che ci ha talvolta portato a immergerci nel passato: dalla guerriglia libertaria contro il franchismo fino ai refrattari alla guerra tra Stati; dai piccoli gruppi di intransigenti che offrono alla vita «la squisita elevazione della ribellione del braccio e della mente» in Sud America fino alla lotta clandestina degli anarchici russi contro vecchi e nuovi poteri. Più che rappresentazioni di ciò che è stato, questi ritorni su esperienze poco accettate sono in realtà suggerimenti di ciò che può essere. Non riproducendole in modo identico, non mutilandole sotto forma di iconografie da esibire per celebrare la propria inazione, ma come esperienze vive che riannodino dei fili là dove sono stati spezzati dall’avanzata del dominio.
Al di là dei tanti articoli scritti per il bollettino, delle traduzioni di testi da altrove, delle note di lettura, dei rimandi storici o delle perle estratte dal forziere, Avis de tempêtes ha anche fornito in ogni numero una panoramica di attacchi, azioni e sabotaggi avvenuti in Francia, ma anche in diversi paesi europei. Questa cronologia non voleva certo essere esaustiva, tanto più che lo Stato ha spesso interesse a coprire gli atti anonimi con un velo di silenzio. Nel movimento anarchico contemporaneo, le opinioni sono divise su tale approccio, in particolare per quanto riguarda le azioni che non sono seguite da un post-scriptum rivendicativo. Senza voler qui proseguire in questo dibattito, diciamo semplicemente che il bollettino ha ripreso nella sua cronologia tutti gli attacchi che ci hanno ispirato per metodo ed obiettivo, sia che fossero rivendicati o meno – ammettendo appunto di non conoscere le intenzioni dei loro autori, e non pretendendo che si mostrassero alla luce del giorno affinché i loro atti fossero menzionati. Molte ragioni possono suggerire che essi non vengano spiegati ulteriormente, che vanno ad esempio da una tattica difensiva contro la repressione, fino alla considerazione che una eventuale spiegazione svanisce allorché l’obiettivo e il metodo sono chiari. Allo stesso modo, esistono altre ragioni che inducono a rivendicare un attacco, che vanno ad esempio dalla volontà di dare una portata più ampia all’azione compiuta, fino al tentativo di comunicare con altri attraverso di essa. Ma a nostro avviso, non esiste davvero alcuna ragione per scartare a priori qualsiasi azione non rivendicata o per esigere per principio dai sabotatori notturni un certificato di convalida formale; così come non c’è ragione per non riflettere su tale questione, e questo costantemente in relazione alle proprie prospettive e progettualità.
Per concludere, se è sempre stato un piacere redigere ed elaborare ogni numero di questo bollettino, dobbiamo pur dire adesso che dopo cinque anni è arrivata la voglia di mettere un punto. Una certa fatica nel cercare di assicurare questa regolarità, l’assenza talvolta penosa di riscontri o dibattiti incrociati, la constatazione di una ridondanza nel nostro modo di affrontare le vaste questioni dell’azione, certamente anche i limiti dello strumento stesso, sono tutti elementi che hanno contato nella nostra decisione di concludere l’esperienza di Avis de tempêtes. Una tale decisione potrebbe forse sembrare paradossale, ben sapendo che l’interesse e il bisogno che sentiamo per tali spazi di riflessione e di approfondimento restano sempre vivi, ma lo strumento che abbiamo forgiato in questi anni non è pronto per un nuovo inizio o un nuovo formato. Ci è sembrato quindi più appropriato farlo scomparire, in modo che altri progetti possano nascere.
Non ci resta che ringraziare coloro che hanno contribuito all’esistenza di questo bollettino, che l’hanno alimentato, diffuso e discusso, che l’hanno criticato senza far finta che non esistesse, che hanno tradotto articoli o interi numeri in altre lingue, che sono riusciti a trovare le strade per inviarci riscontri e suggerimenti, nel corso di un’avventura che è diventata molto più della nostra da quel lontano autunno tempestoso.
[Avis de tempêtes, n. 59/60, 15 dicembre 2022]