C’è chi chiede giustizia…

Alcune prede della giustizia

Quando alcuni anarchici diverso tempo fa sostenevano che il dominio si basa, oltre che su numerosi pilastri materiali alla portata di mani audaci, anche sui meccanismi di sottomissione che costituiscono ulteriori ostacoli al possibile ribaltamento dei rapporti sociali, avevano in mente la plurisecolare oppressione religiosa o l’odiosa figura dell’«Onesto operaio». Mai avrebbero forse potuto immaginare che un secolo dopo, strato dopo strato di servitù volontaria, quest’ultima avrebbe finito con l’assumere agli occhi di tanti rivoltosi i tratti della dea bendata.
A partire dall’assassinio poliziesco del 27 giugno a Nanterre, si è visto spuntare un po’ dappertutto lo slogan «Giustizia per Nahel», che mira a collegare questo morto di Stato a quelli precedenti, benché prima nessuno sbirro assassino sia mai stato incarcerato preventivamente. Questo slogan portatore di tribunali e prigioni – o di punizione divina per i più bigotti – lo si è potuto leggere sia sui muri e sulle vetrine saccheggiate, sia nel nulla connesso, sia nell’appello della famiglia che esortava alla calma, sia nella ciurmaglia di sinistra in cerca di risposte da contrapporre alla rivolta distruttrice. Giustizia? Quella stessa giustizia quotidianamente al servizio dell’ordine e della proprietà, quella che sta spedendo centinaia di rivoltosi in galera? Quella stessa giustizia che non è separabile dalla polizia ed anzi ne costituisce l’indispensabile prolungamento tramite l’oppressione giornaliera prodigata dai suoi nobili addetti al servizio pubblico: giudici, procuratori, secondini? Ma non sarà invece che chiedendo «giustizia» allo Stato dopo un omicidio poliziesco, come una sorta di riflesso condizionato, si tenta soprattutto di pacificare e canalizzare una situazione potenzialmente esplosiva, eliminando fin da subito qualsivoglia idea di vendetta contro il potere e chi lo rappresenta?
Eppure, fino a quando esisteranno individui che disdegnano le suppliche (per quanto veementi) indirizzate al buon padrone che potrebbe talora mostrarsi giusto verso i suoi sudditi, la via dell’azione diretta e vendicatrice resterà sempre aperta. Anche a Nanterre e dintorni, cioè nelle condizioni più difficili che ci possano essere. Perché è così che, mentre gli uni invocavano giustizia collettivamente e con insistenza, altri non esitavano ad agire in maniera assai più singolare e discreta, nel tepore della notte, concretamente contro la giustizia e contro i suoi servi.
Mercoledì 5 luglio, nella città in cui lo sbirro decorato ha assassinato Nahel, abbiamo appreso da un trafiletto di giornalsbirri (Le Parisien, 5/7) che la «Procura di Nanterre ha aperto una serie di inchieste che necessitano di investigazioni più approfondite, quali l’esame di immagini di videosorveglianza e di tracce genetiche» in seguito alle sommosse della scorsa settimana. E che non si tratta di indagini qualunque, ma proprio di quelle relative ai vendicatori notturni che hanno sfidato la giustizia notte dopo notte invece di elemosinarla. Ovvero…
… l’incendio del tribunale distrettuale di Asnières, preso di mira la sera del 27 giugno da un gruppo di sei/otto individui, che ne hanno spaccato i vetri ed hanno gettato al suo interno una molotov. In seguito a questo, tutti gli squarci sono stati coperti con pareti di compensato, e un agente di sicurezza è stato piazzato a guardia dell’edificio. Ma la notte dopo, il 28 giugno, alcuni individui vogliosi di dare una ripassata sono tornati all’azione e hanno lanciato nell’immobile un’altra molotov, sprigionando un incendio e bloccando il vigilante al suo interno. Al momento il pianterreno del tribunale è completamente devastato, rendendo impossibile lo svolgimento delle udienze, e necessita di importanti lavori di ristrutturazione.
… l’incendio dell’annesso del tribunale giudiziario di Nanterre, la notte del 29 giugno, quando un gruppo di individui si è intrufolato dal retro dell’edificio passando per il parco André-Malraux, prima di sfondare i vetri del tribunale e poi appiccare il fuoco al pianterreno per renderlo inutilizzabile.
… i danni all’immobile che ospita temporaneamente i giudici e i magistrati di Nanterre mentre si ristruttura la loro sede abituale, e che si trova esattamente all’incrocio dove Nahel è stato abbattuto, punto d’arrivo della marcia bianca organizzata giovedì 29 giugno. In quell’occasione, alcuni individui poco rispettosi delle raccomandazioni pacifiche predicate dai microfoni, si sono scatenati sull’edificio ospitante i magistrati, sfondandone i vetri e dando fuoco al pianterreno. I locali sono rimasti inaccessibili a giudici e procuratori per 24 ore.
… l’attacco ai locali della Direzione centrale di polizia giudiziaria (DCPJ) di Nanterre la notte del 30 giugno verso le 3 del mattino, quando un gruppo di alcune decine di individui hanno spaccato i vetri e la porta d’ingresso a colpi di pietra al fine di regolare alcuni conti in sospeso (attacco definito «tentativo d’intrusione»), prima di venire respinti.
Nel momento in cui lo Stato stesso sta aizzando i suoi cagnacci in toga, in seguito alle centinaia di edifici istituzionali incendiati, alle migliaia di attacchi contro il suo misero personale in uniforme e tutti i templi della merce alleggeriti del loro contenuto, e in cui altre persone sono state abbattute durante le sommosse (una il 30 giugno a Mont-Saint-Martin da una pallottola in piena testa dell’unità speciale della polizia RAID ed ora in coma profondo, l’altra a Marsiglia il 2 luglio morta per aver ricevuto un colpo di flash-ball in pieno torace), ciascuno sa che la vendetta è anche un piatto da mangiare freddo…

[tradotto da qui]