Tsunami

A volte basta saper guardare.
A volte i segnali ci sono tutti.
A volte basta non restare abbagliati dal brillare delle conchiglie sul fondo.

Lo tsunami è un fenomeno strano. È forse quanto di più prevedibile ci sia al mondo. Un terremoto smuove migliaia di tonnellate d’acqua. Un muro di energia lentamente si muove verso la costa. Il livello del mare scende di diversi metri.
Sarebbe così semplice accorgersene e rifugiarsi sulle montagne, al riparo, per capire come resistere all’impatto dell’onda. Eppure l’acqua che scompare attira i curiosi. Ognuno ha il proprio profitto a cercare nella sabbia del fondo. Ognuno ha una perla che lo abbaglia. Finché non sopraggiunge l’acqua a spazzare via tutto.

Ecco, non si può ignorare che l’acqua arriverà. Un muro di acqua. I segnali sono chiari. Intorno a noi il mare sociale si è asciugato, si è ritirato, è fuggito via – come i topi di hamelin – dietro ai pifferai della televisione e del consumo. Riemergono solo relitti del passato, fantasmi di altre epoche di cui fare tristi apologie. Quali sono i tesori che non ci fanno mettere al riparo, che non ci permettono di interrogarci a fondo su come resistere allo tsunami, che ci attirano verso l’annegamento?
Il corteo autoreferenziale? Il sito che ricompone le diverse anime ed idee di un’opposizione a questo mondo – che non ha in realtà sintesi possibile sul nodo irrisolvibile del rifiuto o dell’accettazione dell’autorità? Il bisogno indotto dalla soppravvivenza? La passione per la nostra attività sostitutiva favorita? Abbiamo troppo a cuore la nostra pelle per giocarci davvero la vita. E, così facendo, scopriamo di avere mani troppo vecchie per accarezzare davvero la gioia.
Stiamo perdendo tempo. Ci stiamo gingillando nella melma del fondo molle, dove le vecchie navi diventeranno le nostre urne d’acqua. Il silenzio ferale sarà ciò che ci accompagnerà nell’eternità.

Altro. La fuga verso le alture del pensiero e dell’azione. Ecco ciò che potrebbe salvarci la Vita. Ciò che potrebbe tendere un agguato alla morte che ci prospettano. Viviamo in un’epoca sconvolgente ma non ne siamo toccati. Restiamo invero sommersi dal flusso di notizie che trascinano le nostre sensibilità al largo, lontane da noi.
Quando l’acqua sarà al minimo l’onda si abbatterà su di noi.
Guerra nucleare, dominazione materiale, disastro ecologico. E questo a livello globale. In Italia la guerra civile tra neofascismo nazionalista (oggi si direbbe sovranista) e l’ecofascismo della digitalizzazione e del controllo sociale capillare. E gli spazi per un intervento autonomo?

Si, certo. Teoricamente ci sono. Ma occorrerebbe capire che non possiamo più illuderci di ciò che abbiamo. Ciò che stringiamo tra le mani, ciò che abbiamo a cuore, sono fondi di bottiglia levigati dal mare che riemergono alla luce del sole perché l’acqua cala. Inesorabilmente. Ci abituiamo alla miseria e alla mediocrità, abbiamo dato la stura all’autocommiserazione. Ma se davvero quei bagliori fossero frammenti di pensiero altro, cosa attenderemmo per abbandonarci alla qualità?