L’ariete

«Per quanto riguarda l’Europa occidentale, l’organismo civilizzato vi domina incontestabilmente. Ha dalla sua parte la maggioranza degli interessi, il sigillo dell’epoca, i governi, gli eserciti e – in mancanza della giustizia – l’abitudine, il pregiudizio, l’opinione. Si difenderà fino alla morte con l’implacabilità della disperazione. È un sogno sperare di vincerlo mediante la persuasione, l’entusiasmo e l’appello alla giustizia. Che se ne prenda atto: contro la Forza civilizzata occorre una Forza superiore!!
Cerco da qualche parte questa forza superiore, strumento della rivoluzione palingenetica, la cui necessità mi è palese. Cerco una FORZA, dico, perché l’IDEA fa solo il suo compito. E se l’idea propone, la forza dispone; – che questa forza si chiami Dio, Zar, nazione invaditrice o moltitudine insorta.
È vero, sicuro, incontestabile, come parola di Vangelo, che il mondo ufficiale civilizzato non ha né il coraggio, né la forza, né il tempo, né la volontà necessari per distruggersi da sé. Il suicidio non è né nei desideri, né nelle facoltà degli anziani; l’idea di una trasformazione, la vista della gioventù, li spaventa.
È non meno vero che il mondo
rivoluzionario civilizzato non racchiude più in sé né la maggioranza, né l’unione, né l’attività, né i principi, né l’entusiasmo, né l’influenza indispensabili per modificare l’ambiente circostante, sia mediante la Forza che mediante la Convinzione.
È pure certo che il mondo
nazionale civilizzato non esiste più. Da Liverpool a Marsiglia e da Ginevra a Nantes, la patria è il mercato. Tutti i popoli occidentali sono stretti in un solo fascio, attorno ai loro interessi materiali; tutti invocano la pace, tutti pregano per la conservazione di ciò che esiste. Il nome della nazione serve solo a fare da bandiera alla merce.
Il mondo civilizzato
nazionale e rivoluzionario, la santa alleanza dei popoli, non esiste ancora. Prima che si tentasse di realizzarlo verrebbe schiacciato sotto le forze dei despoti, sempre pronti e sempre uniti, dai tempi di Abele, nel credo proprietario. Del resto quale sarebbe il legame, il nervo di questa confederazione? Come potrebbe nascere e mantenersi oggi che ogni interesse e ogni avvenimento umano si concludono con il denaro?
Dal che io deduco […] che fra noi non sarà tentato alcun intervento veramente efficace in favore della giustizia e della libertà: – né da una
monarchia civilizzata, anche se liberale come quella d’Inghilterra; – né da una nazione civilizzata, anche se patriota come la Svizzera; – né da un partito civilizzato, anche se repubblicano, vigoroso e temuto come il partito mazziniano; – né da una sommossa civilizzata, anche se felice come quella di Spagna. […]
Calpestando sotto i miei piedi liberi ogni vano scrupolo di nazionalità, animato dal solo desiderio di annunciare il vero, io cerco in Europa una forza estranea all’Occidente, forza i cui interessi siano contrari a quelli della Civiltà, i cui destini siano opposti ai nostri; forza non bloccata nell’ingranaggio odierno; forza che abbia molte aspirazioni e pochi compiti ancora fatti; forza novella, superiore a quella della Civiltà, in grado di lottare vittoriosamente contro di essa e di disperderne i resti a tutti i venti del cielo… […] – forza guerriera, conquistatrice, cieca, sorda, muta, incendiaria, senza onore di convenzioni…
»

Sono trascorsi quasi 170 anni da quando un proscritto francese invocava l’avvento dei Cosacchi, il diluvio umano, come unica possibilità rivoluzionaria rimasta ad una civiltà mortifera. All’epoca gli aspiranti capipopolo lo derisero, accusandolo di voler «correre le steppe del deserto e della fantasia» pur sapendo che «la principale questione che divide e turba l’Occidente è una questione di scienza, il problema da risolvere è quello del lavoro». Come si può pensare di risolvere un problema di tale complessità attraverso «i Cosacchi, ovvero la servitù, l’ignoranza e la miseria organizzata, disciplinata, abbrutita»? Certo, sono nostri fratelli di sventura, ma non «sarebbero troppo incapaci e troppo pericolosi, come precettori d’economia sociale, di politica e di governo»?
Oggi la Civiltà espande ormai le sue propaggini su tutto il pianeta, devastando fin il mondo sensibile, rendendo illusoria non solo ogni ipotesi d’invasione esterna brutale ma anche di insurrezione interna consapevole. Eppure ciò non riduce, anzi, fa soltanto accrescere la frustrazione e la disperazione dei suoi galeotti. Ecco perché, di tanto in tanto, un sopruso di troppo nei loro confronti fa esplodere la rabbia. Guardiamo cosa sta accadendo in Francia. In fondo, pessimi precettori di dotte scienze sociali non sono anche i per lo più giovanissimi manifestanti che hanno appena messo a ferro e fuoco l’intero paese dopo l’ennesimo omicidio di uno di loro da parte dalla polizia (il 27 giugno a Nanterre)? Non di rado sono servi del capitalismo, ignoranti di teorie rivoluzionarie, disciplinati dalla religione, abbrutiti dall’algoritmo. Se non sono Cosacchi, generazione dopo generazione restano comunque immigrati – provenienti pur sempre da altrove – oppure esclusi da ogni riconoscimento sociale – esuli nel limbo virtuale – mai del tutto integrati, più qualificati ad avere attorno al collo un cappio che una cravatta.
Tuttavia, a differenza del passato, le vecchie scuole rivoluzionarie sono ristrette in edifici fatiscenti, dove si tengono ridicoli corsi in aule pressoché vuote: va da sé che gli aspiranti capipopolo contemporanei mostrino molta più tolleranza nei confronti di chi va all’assalto della civiltà senza diplomi sovversivi in tasca, senza lotte di classe sulla coscienza, senza modi di produzione in testa, senza legittime rivendicazioni in mano, senza leggi storiche oggettive nel cuore, bensì in maniera effettivamente cieca, sorda, muta, incendiaria, senza onore di convenzioni.
Ma, a quanto pare, senza nemmeno onere di tradizioni. Si ha un bel frullare nei propri ricordi che in Francia non è una novità vedere in azione i casseur (1994), o la racaille (2005)… la rabbia sarà pure la stessa, ma l’estensione che può raggiungere, la forma che può assumere, le prospettive che può aprire, quelle no. Quelle restano e saranno sempre in balìa dell’imprevedibilità delle circostanze, e soprattutto della fantasia che cavalca il caso. Si considerino prima lo sgomento e la preoccupazione istituzionale davanti al saccheggio di un’armeria (ad Ivry-sur-Seine, la notte fra il 29 e il 30 giugno), ai colpi d’arma da fuoco esplosi contro le forze dell’ordine (a Vaulx-en-Velin, la notte fra il 30 giugno e l’1 luglio); poi lo choc nazionale davanti a quanto accaduto a Haÿ-les-Roses (la notte fra l’1 e il 2 luglio), dove un’auto in fiamme è stata lanciata a mo’ di ariete contro la casa del sindaco. Ciò significa non accontentarsi di replicare un modello assodato, ma andare oltre ampliando i propri mezzi a disposizione con cui fronteggiare nelle strade le forze dell’ordine. Significa capire che i gendarmi non sono affatto i soli nemici, identificando altri responsabili dell’esistenza miserabile che viene imposta e andare direttamente alla loro feroce ricerca. Un cattivo esempio che chiunque può seguire 365 giorni all’anno.
E questo sì che è un vero colpo d’ariete, soprattutto all’incrocio di determinazioni rivoltose scese in campo quasi contemporaneamente. Quelle che la scintilla non l’aspettano, ma cercano di provocarla. Come quella scoccata nella notte fra il 25 e 26 giugno, poche ore prima dell’omicidio di Nanterre, quando è stato abbattuto un traliccio nei pressi di Chambery con una modalità spiegata nel dettaglio dagli stessi autori dell’azione:
«…
1) Segare le traversine. Nota: sono le barre che uniscono i piedi fra di loro.
2) Segare con tagli obliqui i due piedi posti in direzione della caduta. Nota: il traliccio deve cadere perpendicolarmente ai cavi elettrici.
3) Segare con tagli diritti gli stessi piedi una trentina di centimetri sopra i tagli già fatti. Nota: segare bene fino in fondo, per far sì che il pezzo si stacchi.
4) Colpire con un ariete le parti segate tenute al loro posto dalla gravità del traliccio. Nota: si può utilizzare un piccolo tronco d’albero.
5) Mentre il traliccio cade allontanarsi a piccoli passi nella direzione opposta. Nota: per realizzare questa azione basta dotarsi di seghe per metallo e di olio.

Altre note in aggiunta:
Non serve fare le cose frettolosamente; se avete scelto bene il luogo avete tutta la notte davanti! Più i tagli sono netti, più il lavoro con l’ariete sarà semplice. Possono bastare da una a tre ore, a seconda del traliccio e di quanti siete. E una buona decina di lame per le seghe (anche se non tutte le qualità e dimensioni dei denti sono uguali!).
Avere una persona che sorveglia i movimenti della struttura durante gli ultimi colpi di sega può essere rassicurante, così come ripulire con candeggina le zone di lavoro prima dell’assalto finale (i colpi di ariete).
Il momento della caduta è certo impressionante, ma noi ne siamo usciti indenni, come decine di sabotatori e sabotatrici che ci hanno preceduto!
E un motivetto da canticchiare in mente, per mantenere il ritmo e darsi coraggio…
E se seghiamo tutto, cadrà
Non può durare così
Bisogna che cada, cada, cada
Vedi come pende già
Se sego con forza, cadere dovrà
E se tu seghi accanto a me
È sicuro che cadrà, cadrà, cadrà
Ed avremo la libertà
… »

E se anche non si avrà la libertà, si sarà almeno inceppata la riproduzione dell’esistente… se anche non si avrà nessuna giustizia, si sarà assaporata l’ebbrezza della vendetta… se anche non si attaccheranno i vertici del potere, si sarà difesa la propria dignità… non ne sarà comunque valsa la pena?
Che i funzionari di Stato si rassegnino. Che i militanti di partito o di movimento si rassegnino. Nonostante gli inviti alla calma civile dei primi e alla mobilitazione attivista dei secondi, le loro rispettive assemblee sono buone solo per coloro che vogliono perpetuare questa Civiltà marcia di diritti costituzionali. Chi viceversa avverte sulla pelle tutta l’urgenza della sua fine, perché ne è escluso di fatto o ne è disertore per scelta, non sa che farsene delle ragioni della politica, di palazzo o di piazza che sia. La democrazia non è a portata di voto, la felicità non è a portata di stipendio, la rivoluzione non è a portata di sciopero.
Ogni giorno che passa non diventa sempre più palese la stoltezza di ritenere possibile persuadere chi comanda con brutalità, chi obbedisce con rassegnazione? Davvero si pensa che la sensibilità del rancore e la consapevolezza dell’odio, per manifestarsi abbiano bisogno di convergenze tattiche, di alleanze strategiche, di composizioni politiche? Come se l’esplosione di una polveriera fosse una sommossa civilitica! Come se non fossero necessarie anche le scintille generate da un ariete, «bello come l’incontro fortuito su un tavolo operatorio di una macchina da cucire con un ombrello».