Cinque a uno

Scorpion, acronimo di Street Crimes Operation to Restore Peace in Our Neighborhoods, è il nome di un corpo speciale della polizia di Memphis, creato lo scorso anno, nato per fare il bello e il cattivo tempo nei quartieri di Memphis: massacrare, arrestare e reprimere le persone che non hanno la fortuna di aver la pelle di color bianco (ma non devi essere ispanico…) negli Stati Uniti d’America.
Poche ore fa è uscito un video in cui un ragazzo afroamericano di nome Tyre Nichols non viene semplicemente arrestato… ma viene torturato in strada da cinque sbirri (sotto gli occhi imperturbabili di alcuni vigili del fuoco), anch’essi afroamericani, con taser, verghe, manganelli e spray al peperoncino. Questa tortura ne provoca la morte qualche ora dopo: arresto cardiaco, è il responso medico. Il video non è di ieri, ma della sera del 7 gennaio scorso.
Le responsabilità di quella sera, secondo la polizia, di Tyre? Guida non proprio consona al codice della strada. La responsabilità storica di Tyre? Essere nero in un ghetto americano.
I cinque assassini di Tyre sono stati subito incriminati e licenziati. Il presidente democratico Biden, ai tempi senatore, ricorda benissimo il nome di Rodney King e cosa avvenne nel 1992 a Los Angeles. La «non incriminazione» degli sbirri (quella volta tutti bianchi) ripresi da un passante con una videocamera mentre picchiavano a sangue il malcapitato provocò un incendio lungo due settimane che dai sobborghi di Watts arrivò ad incendiare le boutique di Beverly Hills.
Dopo la presa visione dell’odierno video del massacro, da Los Angeles a Portland, da Philadelphia a New York, da Washington alla stessa Memphis teatro dell’orrore, sono iniziate le proteste di gente incazzata nera. E sono ritornati, a più di due anni dalla rivolte per George Floyd, gli incendi dei distretti di polizia, le vetrine sfasciate, le auto della polizia incendiate e sprazzi di rivolta urbana durante i quali l’autorità arresta gli insorti ma non riesce ad arginare il fiume che, ancora una volta, sta rompendo gli argini. Ma quali sono questi argini?
Gli argini, oltre alla repressione sono le richieste delle anime pie democratiche: anche in questo caso Biden predica la calma, la famiglia sconvolta dall’uccisione di Tyre fa appelli alla pace e qualche politico di innato talento reclama riforme.
Ma è il prepotente ritorno del to hell, or utopia? a far tremare i polsi a tutti. Rivolgere richieste al nemico in divisa e ai suoi sostenitori? Neanche per scherzo. Continuare nella riproduzione dell’obbedienza della legge, nelle merci da comprare, nei ruoli a cui sottomettersi, nel continuare ad eleggere governi per delegare la propria vita? Niente di tutto questo. La parola utopia non rimanda ad un ascoltate le nostre richieste ma può dar vita alla rivendicazione eterna contro il nemico, alla sua sparizione, alla sua distruzione.
Questa ennesima tragedia darà linfa vitale al veleno dello scorpione della rivolta? Dalla deportazione di Kunta e i suoi fratelli africani sulle coste americane nel 1750, passando per John Brown, Harriet Tubman, fino ad arrivare ai moti di Harlem 47, Watts 65, Detroit 67, ancora Watts 92, Ferguson 2014 e Minneapolis 2020 – tutti momenti che legano la guerra civile strisciante fra schiavi e padroni che da secoli si pacifica e si infiamma negli Stati Uniti d’America, la miglior democrazia del pianeta.
E allora tornano alla mente le parole dello scrittore nero James Baldwin: «L’impossibile è il minimo che si possa domandare». E questo bisognerebbe tenerlo in mente sempre, sia contro la violenza della polizia nelle strade, sia quando un anarchico, per non farsi tappare la bocca, supera i cento giorni di sciopero della fame in una merda di galera. 
Non chiedere niente per volere tutto quello che si desidera – solamente questa intransigenza etica può fare a pezzi la politica nei palazzi e nelle strade.