A Belfast c’è ancora ira
Venticinque anni dopo la firma dell’accordo detto del Venerdì Santo, che ha «messo fine ai 30 anni di guerra civile in Irlanda del Nord» secondo la formula consacrata, se c’è un luogo che incarna ancora oggi quel lungo conflitto, è proprio Belfast. Poiché, se qualcosa è cambiato in quella città martoriata, non è certo la miseria o i muri perenni eretti tra quartieri protestanti e cattolici, ma piuttosto il fatto che milioni di turisti si accalcano ogni anno durante i viaggi organizzati per sbirciare gli affreschi realizzati in onore di questo o quel martire. Magari prima di andare a fare un giro dalle parti dei celebri giardini botanici o ancor meglio al museo del Titanic, inaugurato nel 2012 nel centenario del suo naufragio, nello stesso luogo in cui il transatlantico è stato costruito.
E dato che ci riferiamo al Titanic che costituisce l’orgoglio dei suoi abitanti, tanto vale proseguire nella metafora con le devastazioni di una società tecno-industriale che sembra quasi lasciare chiunque indifeso. Oppure no. Negli ultimi mesi, nella capitale nord-irlandese, alcuni anonimi si sono infatti prodigati nel richiamare alla mente il ricordo dell’iceberg tecnologico, colpendolo in cinque riprese.
Tutto è cominciato la notte del primo giugno di quest’anno, quando la polizia di Belfast ha ricevuto una segnalazione verso le 23,15 in relazione all’incendio di un ripetitore situato sulla Donegall Road. Un quarto d’ora dopo è arrivato un secondo allarme, che annunciava l’incendio di un’altra antenna accanto all’Owenvarragh Park, sempre nella zona ovest della città. Quindi un terzo allarme verso l’una, riguardante l’attacco ad una antenna sulla Springfield Road. E ancora… fino alle 3,45 del mattino di quella notte agitata, quando la polizia ha appreso che dopo l’incendio doloso di un armadio elettrico verso le 2,45, un quarto e ultimo ripetitore di telefonia mobile era stato sabotato sulla Stewartstown Road.
Ogni volta, le modalità di attacco dei ripetitori erano le stesse, semplici quanto riproducibili: lo sportello d’accesso ai cavi elettrici forzato, poi un fuoco acceso all’interno per interrompere parte della rete del settore. Con un simpatico effetto palla di neve causato dal fatto che quando un certo numero di antenne vengono sabotate nel corso della stessa notte nello stesso luogo, è possibile finalmente conoscere le gioie di una vita temporaneamente liberata da qualche catena tecnologica in tutta la zona interessata.
Di fronte a questo genere di attacchi, è difficile non trovare qualche politico locale che predichi le virtù della delazione cittadina o tenti di istruire le sue pecorelle. Nel caso specifico, ad accollarsi quest’onere è stato un eletto del SDLP (Social Democratic and Labour Party) il quale ha esortato: «Coloro che hanno causato un certo numero di incendi criminali di antenne di telefonia mobile a Belfast devono dar prova di saggezza e cessare di causare distruzioni e disturbo nella propria comunità. Un’attività del genere è assolutamente futile… Chiunque abbia qualche informazione su questi attacchi deve comunicarla alla polizia appena possibile».
Sfortunatamente per lui, identificare quelle strutture come qualcosa che sia al servizio della propria comunità non è ancora una saggezza condivisa da tutti i nottambuli di Belfast. Tant’è che il 6 luglio, un mese dopo quella prima ondata di attacchi, un altro ripetitore è bruciato sulla Stewartstown Road alle 2,50 del mattino.
Non per niente Belfast è la città del Titanic…
[tr. da qui]